08/02/15
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Svelato il segreto di Cheope
Ricostruito a Torino l’argano che 4.500 anni fa permise di innalzare la piramide

ANTONELLA PEROTTI

TORINO

Chissà se Imhotep, Nefermaat, Hemiunu, i grandi architetti egiziani che costruirono le prime piramidi, sarebbero d’accordo a divulgare le loro tecniche di costruzione. A Torino, nei laboratori del Politecnico, è stato realizzato un prototipo della macchina con la quale probabilmente fu costruita la gigantesca piramide di Cheope nel 2570 a.C. A guardare bene, il vero mistero degli egizi sta tutto in una domanda: come fecero a costruire questi colossi di pietra quattromila anni fa? La macchina del Politecnico è una risposta ed è la prima al mondo, tra tanti progetti sulla carta, sottoposta alla sperimentazione. Lunga 10 metri e capace di spostare 5 tonnellate, è stata presentata al Comitato Scientifico della Fondazione del Museo Egizio e agli esperti, a Torino nei giorni scorsi per il convegno nazionale di «Egittologia e papirologia». 

Insomma la famosa «macchina di corti bastoni» che lo storico greco Erodoto cita nelle «Storie» esiste, non fu solo il frutto dei racconti «favolosi» dei discendenti dei costruttori delle piramidi che nel 450 secolo a. C. la citavano sul filo impreciso della memoria. «Abbiamo dimostrato come si potevano spostare blocchi pesanti fino a 45 tonnellate che ritroviamo nella camera sepolcrale della piramide di Cheope, con squadre di 3 o 4 persone» spiega il suo inventore Osvaldo Falesiedi, 54 anni, un lavoro all’Iveco che non c’entra nulla con l’archeologia. La passione per il rebus architettonico rappresentato dalle piramidi egizie è nata 27 anni fa, dopo la lettura di un libro dedicato a Imhotep, il primo architetto della storia dell’umanità. Da allora Falesiedi si è occupato di capire come gli egizi movimentavano i grandi blocchi che costituiscono le parti più segrete delle piramidi. Da un anno collabora con Giorgio Faraggiana, docente di Scienze delle Costruzioni del Politecnico, e tra modellini e calcoli sono riusciti a riprodurre una macchina a grandezza naturale, simile a quelle che forse furono impiegate per la tomba di Cheope. 

«Gli egizi usavano macchine semplici, come questa, che moltiplicavano la resa dello sforzo - spiega Giorgio Faraggiana -. Nella costruzione delle piramide di Cheope vennero impiegate tecnologie utilizzate inizialmente per tenere in tensione le imbarcazioni sul Nilo come l’ "argano spagnolo». L’architettura, dunque, dovrebbe molto alla marineria. Il punto di partenza per studiare l’enigma delle pietre di granito di 45 tonnellate collocate a 40 metri di altezza nel cuore della piramide di Cheope è la «Grande Galleria», lunga 47 metri, alta otto e larga 2. «Per molto tempo si è pensato che fosse un corridoio cerimoniale, con statue collocate nelle nicchie che sono ben evidenti - spiega Falesiedi -, invece servivano per collocare zeppe e traversine di legno. La parte rigida della macchina è la galleria stessa». 

In pratica i blocchi, caricati su una slitta di legno, venivano fatti salire verso l’alto lungo il piano inclinato della galleria con un sistema di trazione che impiegava l’ «argano spagnolo», fatto di corde ritorte con un bastone di legno in mezzo che veniva girato dagli operai: l’avvitamento delle corde spostava il blocco. Un perno collegava con le funi il blocco di pietra e l’argano. La stessa tecnica era usata per caricare e scaricare obelischi, statue, pietre dalle navi: adagiati sulle slitte venivano sbarcati lateralmente sulla banchina con il sistema dell’argano spagnolo. Bastavano 12 uomini, cioè un equipaggio, per spostare i giganti che venivano collocati nei templi e nelle piramidi. Per spiegare il mistero di quei grandi monumenti, creati per sfidare, la morte, il tempo e l’oblio, si è immaginato di tutto: dalle file di schiavi dei film hollywoodiani agli extraterrestri. 

Già Champollion e gli archeologi dell’Ottocento si spaccavano la testa sull’enigma delle piramidi di Giza. La macchina studiata da Falesiedi e dal Politecnico dimostra che con pochi operai, che potevano persino interrompere il lavoro per la pausa pranzo, fu possibile innalzare una delle sette meraviglie del mondo antico.

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